BUCA DEL CORNO - ENTRATICO


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Gennari L. 1937

DOCUMENTI > STORIA/GEOGRAFIA

Gennari Luigi, 1937
(In: RIVISTA DI BERGAMO, anno XVI, n. 10 ottobre 1937, pp. 469-471).



DOVE SI FA DELL'ALPINISMO SOTTO TERRA


Dire che si vuoi fare dell'alpinismo in questa Valle Cavallina, senza rupi e senza rocce, si può peccare di presunzione. Eppure lo faremo, anche se alla rovescia: ascenderemo pareti e caminetti, entrando nelle viscere della montagna.
Saliremo oltre Entratico ad una mezz'oretta dal medesimo. Lassù c'è una caverna detta il Buco del Corno o più comunemente la Grotta dei pipistrelli o sgrignapole, secondo il dialetto locale.
La gente del posto vede di malocchio la spelonca. Crede alla solite leggende degli spiriti, dei morti e che so io: assicura che due cappuccini, che troppo s'innoltrarono, ci lasciarono la pelle: afferma che alcuni l'han visitata con una certa circospezione e che ad un dato punto - generalmente ad una biforcazione - non proseguirono, perchè la prudenza consigliava al ritorno.
Antonio Stoppani ci ha lasciato una fiorita prosa a proposito della caverna, ma anch' egli reputò conveniente non andare oltre alla biforcazione o giù di li, dove la via di destra prosegue nel senso inverso alla corsa del torrente, e quella di sinistra costringe a salire una parete per introdursi in un crepaccio. Il compagno dello Stoppani - uno scienziato inglese (nella seconda ricognizione che fecero nel 1872) - entrò per pochi metri nello stesso crepaccio. Con me, ora, son tre amici che mi faranno da staffetta con le loro lampadine. Io mi impegno di fare fotografie e, a proposito o sproposito, prendere un po' dimestichezza coi pipistrelli che tanto schifo fecero all'autore del Bel Paese.
L'inizio della nostra ricognizione è facile. L'entrata è grande ed il suolo pertanto non è accidentato. Scorre in questo un ruscello che vien dal fondo e che porta con sè un cicaleggio insolito che avverte i segni di un luogo che sa di mistero.
Lo Stoppani ci trovò all'inizio dei carboni spenti: un altro geologo ha segnalato che nella caverna debbono aver trovato dimora gli uomini trogloditi; e furon rinvenute ossa lavorate, frammenti di stoviglie, e selci che ora si conservano nel Museo Civico di Milano. Noi osiamo immaginare che qualcosa di sensazionale, qualcosa che riesumi non sappiam che, appaghi le nostre fatiche. Rinvenire, per esempio, le ossa dei citati cappuccini...
Dopo poche diecine di metri osserviamo le prime stalattiti. Per di qua, oibò! i primi grappoli di pipistrelli rannicchiati e penzolanti. Ci pigiamo ad osservarli con intensa curiosità e, se non sapessimo già chi fossero quei cosi di pelo, forse ne saremmo più stupefatti. Insistiamo ad osservarli e proiettiamo le nostre insidiose luci su uno scorcio di parete maculata, finché le bestiole importunate cominciano una dopo l'altra, a svolazzare, costringendoci alla resa.
Ritorno alla carica quando pochi esemplari penzolano dalla volta, per catturarne uno. Mi hanno riferito che forse potrei trovare un di quei pipistrelli dal muso a ferro di cavallo. Han le narici che chiudono in alto, diremo, i due semicerchi, con un affare prominente a mo' di coltello. Quel ch'io stringo fra le dita non è di questi, e reagendo mi mostra una bocchina aperta con aguzzi e bianchi dentini, che se fosse stato un sorriso, non lo direi del tutto sgradevole...
Proseguiamo. Dopo una settantina di metri sbuchiamo in una camera laterale di destra. Meraviglia! Di fronte s'erge una parete di stalattiti che dan una sensazione morbida, ovattata, e ci lasciano increduli che lo stillicidio delle acque sia stato l'impareggiabile artefice. E attraverso l'azione lenta e tenace di corrosione - mi spiegherà poi l'autorevole prof. Caffi, Direttore del Museo di Storia Naturale di Bergamo - che si formano la caverna, i suoi recessi angolosi e dalle forme stravaganti, le sue stupende stalattiti e stalagmiti. Le caverne per essere veramente tali e per avere tutte le loro belle caratteristiche, si formano laddove v'è sottosuolo di calcare. Ivi - mi chiarirà il Caffi - l'acqua che penetra lenta lenta dal di fuori della montagna, trova facile giuoco perché essa è carica di acido carbonico, il quale ha il potere di sciogliere lo stesso calcare che è poi carbonato di calcio. Ne consegue che il procedere di questa dissoluzione crea dei vuoti, forma dei crepacci, i quali costringeranno anche a spostamenti ed aggrovigliamenti di rocce fratturate: onde la caverna come a noi si presenta e che stiamo visitando.
L'accennata dissoluzione prelude un altro mirabile processo, cioè a formare il carbonato di calcio che essendo solubile nell'acqua, questa lo porterà con sè nel corso del lavoro di incavatura, smussatura e rottura. Scomposto che sia il carbonato acido, va ricostituendosi poi in carbonato di calcio -cioè all'origine, al calcare - che non essendo solubile si precipita dall'alto a formare o le stalattiti o le stalagmiti. Eccoci, appunto, ad ammirare le prime nella camera di destra, sopra citata. Qui le stalattiti iniziano dalla volta che non ha fine - almeno così al nostro occhio - e sulle medesime continua incensante a gocciolare acqua e acqua.
Ne riesciamo da quella per riprendere la via. Ora si incede con maggior precauzione: ci si sorregge a vicenda e si prosegue a tentoni.
Siamo arrivati alla biforcazione. Alla destra seguendo all'inverso il corso dell'acqua, si può percorrere la via più comoda, fatta appunto dallo Stoppani. Noi, invece, preferiamo quella di sinistra che è più impervia ma che troveremo più interessante. Entreremo, infatti, nel crepaccio.
Ci aggrappiamo con mani e piedi alla parete e cautamente infiliamo il recesso, nel quale ci si sta a misura d'altezza e di larghezza. Si ascende, oramai, in posizione quasi verticale, che è come dire il senso della montagna.
Qua e là le stalattiti decorano graziosamente le pareti. Sotto di noi, sotto il crepaccio, sentiamo fondo fondo ed il rumore cupo dell'acqua. Sapremo poi che là è la via normale e che percorreremo al ritorno.
Di tanto avvertiamo ventate, fruscii d'ali e zitz zitz d'animali: sono i pipistrelli.
Man mano proseguiamo, il crepaccio prende a volte forma rotonda od ovale e a volte si restringe in angusti corridoi; con le stalattiti, ora, le increspature e le incavature delle rocce assumono forme così stravaganti ed impensate, così inabituali agli occhi da lasciarci attoniti. Più oltre arriveremo in un antro dove la visione ridiviene eccezionalmente cavernosa, straordinariamente bella. Ci troviamo - come dire? - su di un ballatoio dal quale con l'aiuto lieve delle luci, intravvediamo pareti verticali e di sotto un baratro che non lascia scorgere la fine. Restiamo annichiliti perché temiamo di non poter proseguire.
Il foro che vediamo nella parete di fronte ci lusinga ad inoltrarci, perché ci fa pensare che oltre si possa andare e che altre stupende sorprese incontreremo. Per questo ci accingiamo a guadagnare il baratro con una manovra inusitata: ci corichiamo orizzontalmente al medesimo e l'attraversiamo pigiando i piedi nella parte di destra e le mani in quella di sinistra. Potremo poi scorgere la possibilità di gettarci giù, impunemente, per trovarci sul suolo di quello che c'era apparso un precipizio infinito. Come la manovra è fatta, risaliamo la parete nella quale scorgemmo il foro, per inoltrarci ancora alcune diecine di metri. Ora abbiamo la sensazione che la caverna termini, perché riteniamo umanamente impossibile entrare in un forellino di destra, da dove escono appena appena i pipistrelli.
Quanti metri siamo sottoterra? Quanti metri abbiamo percorso? Non sappiamo rispondere alla prima domanda, ma presumiamo di aver percorso non meno di 200 metri.
Dopo queste constatazioni ci pare giusto sfatare quell'altra mera leggenda che si racconta dalla gente del posto, e cioè che la grotta sbuchi in non so quale angolo del Lago d'Iseo. Una conferma in proposito, mi verrà data autorevolmente dal professore Caffi.
L'egregio geologo, da me interrogato, escluse che il grande antro possa proseguire, chè gli strati di calcare - e ciò me lo fa notare sulla carta geologica - terminano, e solo si può supporre che eventuali, diremo, sfoghi, si trovino nella caverna, piuttosto in larghezza, poiché gli ammassi di calcare s'estendono in tal senso. Questo ho io stesso constatato, del resto, perché piccoli recessi laterali si trovan qua e là e che quanto prima visiterò, onde, se possibile, mettere un finis su ogni supposizione e su ogni credenza.
Ritorniamo. Prima di allacciarci alla via normale, affrontiamo un altro ostacolo che ci mette di buon umore. Infiliamo un buco, che avanti ci dette la sensazione di non poter entrarci, stando a terra come quadrupedi, tenendo il respiro e dimenandoci come press'a poco deve fare il gatto per introdursi in spazi impossibili. Ci siamo, ora, incontrati col ruscello. Alla nostra destra ci viene un rumore di cascata, che riusciremo a vedere puntando in alto le nostre luci: l'acqua fuor esce da impercettibili infiltrazioni del calcare, gettandosi giù a formare poi un laghetto che dà vita al ruscello.
Infine rieccoci alla biforcazione. Oramai proseguiamo solleciti, perché è in noi intenso il desiderio di respirare - dopo quasi tre ore - una ben altra atmosfera. Di fuori s'è fatta quasi sera. La luce, però, ci appare per reazione ancora indorata di sole, tanto c'eravamo abituati al buio della notte cavernosa.




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