BUCA DEL CORNO - ENTRATICO


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Quartara G. 1902

DOCUMENTI > STORIA/GEOGRAFIA

Quartara Giorgio, 1902
LA BUCA DEL CORNO - LE LAGHE
In LA LETTURA, rivista mensile del Corriere della Sera, anno 2, n. 10, ottobre l902,pp. 894-899.

Tra i laghi di Como e di Iseo, tra la Valtellina e la Val Camonica si eleva un gruppo bellissimo di Alpi, le Orobie, che hanno radunate in sè tutte quante le bellezze della catena meravigliosa: prati verdissimi e sparse pinete; ghiacciai e bianchi nevai; profondi, selvaggi, rigidi valloni; altissime e tuonanti cascate; vette ardite e maestose. Lo Stoppani dice (1)che non vi ha forse nelle Alpi altra regione più interessante, più varia, più dilettevole; in essa il vago, il ridente, l'orrido, il sublime si accordano insieme a mantenere nello spirito le emozioni più vive, più gioconde, più poetiche; in esse l'archeologo, lo storico, il botanico, il mineralogista, il geologo trovano il campo più vasto e più ricco di studi.
La Val Cavallina, una delle valli minori dell'Orobie, che corre parallela al lago di Iseo, congiungendo Bergamo con la Val Camonica, offre testimonianze numerose e di rara bellezza di quegli antichi ghiacciai, che allargarono un giorno, quasi per intero, la regione delle Alpi. Trescorre ne è il capoluogo, paese assai noto per i bagni sulfurei, ricco di fossili e di marmi carnicini. Ma saliamo, la via è breve, sul monte Sega.
Su quel fianco che il monte Sega espone al tramonto c'è un'insenatura ricoperta di prato, coronata da un bosco annoso di castani, dalla quale discende una valletta: al basso vedi una gran conca coltivata (la fine della Val Cavallina) divisa dal torrente Cherio, che corre via tra i pioppi, vicino alla strada maestra bianca e polverosa; di fronte s'intrecciano pendii ridenti di sole e di luce, e monti variotinti si rincorrono nell'orizzonte sereno; ultimo coperto di neve sorge il Sempione.
La buia e vasta entrata della prima caverna italiana, resa famosa nel Bel Paese, si delinea nel fondo silvestre di quell'insenatura. Si dice che la Buca del Corno non abbia fine, che oltre un certo limite non convenga andare; chi ha tentato queste colonne d'Ercole si è perduto, e lembi delle vesti sono stati ritrovati nel lago d'Iseo. Ma aggiungi a ciò i resti fossili dell'uomo preistorico, i recessi intravveduti e non esplorati dallo Stoppani; comprenderai come mi fermassi involontariamente, quando passavo da quella insenatura, a riguardare l'antro nero, come gli occhi vedessero nella penombra della soglia aggirarsi forme antiche di animali antidiluviani, come l'orecchio udisse, in quel luogo pieno di silenzio, grida e rumori di cascate dai recessi della montagna.
A grado a grado nella entrata grandissima della Buca il giorno vien meno, e l'ingresso dispare con l'insenatura allo sguardo di chi s'inoltra (2): piccole gallerie, starei per dire camini, si innalzano tra le ombre nella volta, certe vie fuggono lateralmente, ritratti fedeli della grande caverna che visiteremo; l'acqua, l'amica, mormora sulla pietra ondeggiata del suolo. Una striscia di luce si disegna ancora su una parete curva, che sembra la chiusa della caverna: là, dove più forte s'ode il gorgoglio dell'acque, la via prosegue e gira dietro alla parete curva, tubo enorme nella roccia viva. Ben presto c'è un bivio. A destra la galleria ha fine nella densità delle tenebre. Avanziamo e agitiamo le torcie; una grotta circolare apparisce; di contro all'ingresso grandi colonne in rilievo, coperte da un velo di acqua, riflettono la luce rossa e viva delle fiaccole. È' il Campanile.
Per vederne la cupola, lanciai in alto molte torcie, le quali misero lo scompiglio tra le orde dei pipistrelli ivi annidati: fino ad una certa altezza la grotta era ornata dal deposito calcareo e dalle colonne; ma più su appena distinguevo roccie nere e scabre, chè le fiamme erano sbattute da un vento ignoto, o spente in acque celate alla nostra vista. Riflettevo a ciò appoggiato ad un pilastro sull'ingresso del Campanile.
-Guardi, guardi! - mi gridò un contadino. Levo gli occhi: in alto, molto in alto, una torcia rischiarava, rimasta su una sporgenza, la bocca di una via, nella quale sparivano, volteggiavano, i fantasmi della caverna. Se avessi potuto arrivare lassù!...
L'altra galleria del bivio si aggira nella montagna ingombra di pietre, ricca di ornati calcarei; quando mi soffermai e mi volsi indietro quasi potessi misurare la via fatta, gli uomini di aiuto con scale, con picconi, con corde apparivano e sparivano sopra un balzo, dietro una rupe, stringendo nel pugno le torcie fiammeggianti: nei bacini della roccia riluceva l'acqua, sorgevano grandi ombre mobili, si rischiaravano e i recessi un istante illuminati ricadevano nelle tenebre; solo in queste, si muoveva il lume lontano di un arretrato.
La volta s'innalza moltissimo dopo qualche tempo, il fondo buio non fugge più innanzi, qualche cosa si rischiara... la via è ingombra di due massi enormi! Ma c'è a sinistra un vano, c'è anche un passaggio tortuoso, sopra i due massi vuote tenebre: avanti!
Eccoci nella spelonca selvaggia divisa a mezzo da un gran dirupo, alla quale han dato il nome di Sala: nelle alte pareti recessi silenziosi, nel fondo sono disseminati roccioni e macigni, un pilone altissimo sorregge e divide due altissime e vaste arcate, l'ingresso di due vie - nella serata XIX del Bel Paese lo Stoppani narra di essere entrato, malgrado le parole spaventose della guida, in una di queste vie ma tornò ben presto indietro, stanco della solitudine e molestato dai panni bagnati.
Prima di inoltrarmi in queste due vie di facile accesso, io volevo tentare di raggiungere qualcuno di quei recessi che apparivano lassù, fra le ombre, negli altissimi dirupi.
- Certo là non è mai stato nessuno! - mi disse Rissulot, un contadino.
- Meglio, ci andremo noi, andremo là - e accennavo a un recesso grandissimo, che si trova in alto tra il dirupo, che dimezza la sala, e un'arcata delle vie sopradette: era l'unico che, coi mezzi di cui disponevo io, potesse essere raggiunto.
Feci legare insieme due lunghe scale, le appoggiammo a quella parete e montai primo, ardente di scoprire. Arrivato sugli ultimi scalini, vidi girare nelle roccie imponenti di quella cava montagna un erto canalone, con un vero nevaio di guano. Qua e là sortivano creste di scoglio. Salire.., sarei salito: ma scendere? Mandai Cesco ad Entratico (paese ai piedi del monte Sega) perché prendesse una fune lunghissima, da mettere lassù a cavallo di qualche rupe e servirmene nella discesa. Cesco stette via una ora. Intanto io, franando il guano, avevo cominciato a preparare un primo sicuro appoggio al piede, poi, continuando a franare il guano alto un metro, preparai un secondo appoggio, poi un terzo, poi un decimo, finché giunsi all'orificio di una galleria: che altezza a guardare indietro, che vastità a volgere lo sguardo in giro! Seduto sopra un rialzo nel mezzo della Sala, vidi, alla luce lontana di una torcia, Cesco, il quale pipava tranquillo, fissando l'acqua che scorreva. Gli gridai che mi raggiungesse col Rissulot.
In tre entrammo nella galleria, che è alta un paio di volte me, e piana.
Il canalone continua, ma la sua ripidità diviene tale, che non mi fu possibile di salire più a lungo in esso. Nella nostra galleria avanzavamo con precauzione, perché il suolo risuonava ai passi in modo non troppo rassicurante. Dopo un lungo tratto la volta si abbassò, la galleria saliva...
- Non andiamo più avanti! Vede? Lì c'è la traccia di un serpente.
L'occhio di Rissulot era più acuto e più attento del mio; innanzi due o tre passi c'era una pedata freschissima e profonda... soltanto io l'avrei detta di vitello.
Avanti! Avanti! Ma i contadini si negavano e neppure volevano che mi inoltrassi io, ma mi ripetevano tutte le leggende spaventose sulla Buca del Corno, mostri, smarrimenti, catastrofi toccate a troppo arditi.
- No, aspettatemi - ripetei loro.
In quel punto ch'era tanto basso che, lungo disteso, stentavo ad avanzare, ma rispondeva l'eco sonora di cavità grandi. Avanti! La galleria ingrandisce e compare una cosa nera e tonda laggiù nella pietra bianca... la bestia. Accendo un secondo lume, estraggo un coltello, avanzo, e distinguo l'entrata piccola di un tunnel, a destra ce n'è un secondo, a sinistra un terzo: si aprono nell'ombra vastissima, senza limite. Ma è impossibile passare. A tratti di tempo uguali sentivo un tuc tuc calzato e lento; il getto di qualche sifone nascosto, un orologio di quel regno antico delle tenebre e del silenzio. Ritornando, scorgemmo l'entrata bassa di un sotterraneo, dove riposava acqua limpida e silenziosa sotto un pergolato calcareo: per passare, causa la bassezza, avrei dovuto nuotare nell'acqua: stetti un po' indeciso, e poi ridiscesi nella Sala.
Delle due grandi vie della Sala scelsi per prima quella di sinistra, che non si apre proprio al basso, ma a qualche metro sopra una balza: questa balza è nera, coperta di guano umidiccio, laddove tutta la pietra della Sala è chiara e tersa: su quella melma scivolai più volte prima di aver trovato il passo.
Salito sopra alla balza, i dirupi imponenti della Sala sembravano quinte di un teatro degno dell'Averno, e, dove innanzi eran tenebre, scoprii altri recessi inarrivabili nell'alto.
Si era intanto inoltrato di qualche passo un contadino, rischiarando la via; non era già una galleria, ma una valletta, una piccola valle chiusa nel monte. Questa valletta ha termine in un meandro alpestre e basso, oltre il quale le rupi della montagna formano una gola, dove il suolo manca e profonda un abisso tenebroso. Esitai intimorito, poi decisi di avanzare sull'abisso.
- Ma cosa fa? Non sa che...
- O non dubitate, starò attento.
Su sporgenze delle rupi avanzai benissimo per un bel tratto, ma dopo i lati della gola scendevano a picco, e al piede mancò ogni appoggio. Che fare? Tornare indietro? Non troppo lontano si vedeva un nero pendio e con le ginocchia e con le braccia, sforzando tra parete e parete della gola, avanzai ancora e finalmente mi slanciai su quel pendio, coperto di moltissimo guano. Un caos di camini, di rupi, di botri mi circondava nella luce incerta e piena di fumo; gettai allora una torcia e uno sguardo nell'abisso varcato; vidi larghe caverne, nuove gole, in esse incastrati macigni, vidi in fondo in fondo, il luccichio di acqua corrente.
L'occhio cercò una via migliore per il ritorno, ma non ce ne era alcuna. Nel meandro, inoltrandomi alquanto in una fenditura verticale, trovai un altro abisso di cui non si scorge il termine; una torcia, volando nelle fonde tenebre, illuminò d'un lampo un grandissimo antro dalla roccia chiara, e una gola che richiudeva tenebre invitte.
Eravamo da poco entrati nell'altra via della Sala (quella cominciata dallo Stoppani), quando vidi galleggiare codesta torcia sull'acqua racchiusa nel letto della pietra. La raccolsi e proseguimmo.
Questa via non è larga, a tratti regolare galleria scavata nei vivi massi, che diresti opera di un mago architetto, a tratti letto terso delle acque solitarie, dove gli scogli offrono ponti variati, a tratti si eleva ricca di volute, ricca di ammassi calcarei di tutte le fogge, ricchissima di camini, opera che, per quanto ammirassi, mi è riuscita sempre nuova e più bella, a tratti selvaggia e altissima, tanto che, agitando e agitando le torcie, sempre vedemmo tenebre mute e vuote. Al suo termine un antro altissimo scavato nella roccia viva, con grosse colonne in rilievo come nel Campanile, e una gran balza che non ho potuto superare. Cercai consolarmi salendo in un tubo
scavato nella roccia con nettezza meravigliosa e avente un paio di metri di diametro; ma sassi e terra, ostruendo, mi vietarono il passo e dovetti ritornare. A suo tempo ritroveremo quest'antro.
A metà circa del cammino, che avevamo percorso, venendo dalla Sala, mi accorsi d'una apertura, che mi era sfuggita all'andata nell'antro, sopra un rialzo calcareo. Entrai in essa.
- Che fa, vuole andare anche li?
- Naturalmente.Ero in un burrone dal fondo erto e sassoso che divideva le alte rocce della montagna; risalendo, giungemmo ad un piccolo ripiano, dove era a livello del suolo un foro; mi stesi in terra per entrarvi, e quelli di nuovo:
- Ma dove va? Non vede che qui tutto finisce?
- Invece vedo il contrario.
Per quel foro passai in una via angusta, che saliva a spirale. Un contadino mi volle seguire, ma rimase preso nel foro, e non avrebbe più potuto né entrare né uscire, se non lo avessimo estratto di forza.
In quella gallerietta mi occorreva camminare di fianco, tanta era la strettura, e guardarmi il capo dalle sporgenze del sasso: dopo non molto mi trovai nel fondo di un pozzetto, dal quale riuscii in un'altissima via, e grandi dirupi si ergevano all'intorno: da due parti la via era aperta; dall'una saliva, dall'altra mi parve terminasse nel vuoto; andato a questa parte vidi sotto di me, giù giù in basso, i miei uomini, che, alzate le fronti, mi guardavano stupefatti.
- Venite, la caverna continua, vieni tu, Rissulot, per di qua, lega due scale, gettami una fune, ti tirerò su.
Intanto io mi guardai attorno: vedevo per un tratto l'alto burrone che dispariva nelle tenebre, dalla parte opposta la via continuava dentro dentro; nel suolo, nelle rocce imponenti, trafori, buche, tubi; in alto rupi, dirupi e balze si sormontavano nelle tenebre. E ora il lettore ricordi quel pendio che trovai dopo il varco della gola (la quale aveva nel fondo una corrente d'acqua); quel pendio si trova altissimo sopra la nostra via, se ne sono accorti alcuni contadini, estraendo, per mio consiglio, il guano, ottimo concime.
Le scale, ogni cosa pronta, tutti vollero salire, ed io ne ebbi gran piacere, poiché, con tanti lumi, avrei visto molto più e per maggiori tratti la caverna.
I pipistrelli scendevano a orde a orde come travolti da bufera, e travolgevano noi stessi, e il nostro volto subiva il bacio di quelle ali fredde... Ma uno sfoggio magnifico di stalattiti secolari, ma gradinate di deposito calcareo, sulle quali si poteva salire, salire; ciò che non ho fatto, ahimé, che per brevi tratti: a quanto cose pensiamo troppo tardi!
Ed eccoci ai piedi di una rampa, in un tetro sotterraneo, dove il guano si trovava in grande quantità: da una buca nera assai bassa, sopra la rampa, scaturivano le orde alate con rumore confuso e lontano; in una rupe c'era l'orificio di una gallerietta abbastanza regolare. Era l'unica via che mi restasse aperta; la raggiunsi: la gallerietta girava con curva dolce, poi le pareti si allargavano in cerchio, e il suolo declinava verso il centro: lì si apriva un buco.
- Un buco nel pavimento? Un pozzo? Una via? - mi chiesi. Guardai dentro ma vidi ben poco; guardai oltre. Il piano della gallerietta finiva, la volta s'innalzava perdendosi nelle tenebre - tre lunghe stalattiti scendevano verso gli orli circolari del buco.
Chiami due uomini dicendo che portassero una fune, ne gettammo là dentro un capo, affrancammo l'altro ad un ronchione, e io mi lasciai andare nel vuoto, dimenando le gambe in cerca di appoggio, spalancando gli occhi per vedere qualche cosa.
Trovato un appoggio, accesi la candela che si era spenta (non avevo preso una torcia per non rimanere soffocato dal fumo) e guardai dove fossi - ero in una specie di pozzo, scavato nella roccia, il quale discendeva sotto la gallerietta, e discesi anch'io; ma per poco: tutto si riduceva a un tubo verticale. Allora cavai dal portafoglio un biglietto da visita, lo lascia cadere in quel tubo, poi risali e abbandonammo quella caverna, che tanto mi aveva attratto.


Le laghe

Laga nel dialetto bergamasco è il nome di qualunque pozzo o caverna, che scenda verticalmente nella terra.
Fino a pochissimo tempo fa non sapevo che di una laga (esistente sulla Sega) - dirò anzi che avevo sempre creduto laga nome proprio di quella pozza scavata nella roccia viva, con un diametro all'orlo di sette o otto metri, profonda il doppio. Ma girando sui monti della Val Cavallina in cerca di nuove caverne, specialmente su quelli offerenti al mio occhio, ormai esperto, indizi di cavità, che io mi deducevo dalle pietre traforate e scannellate, che uscendo quali scogli di sotterra fiancheggiano i sentieri e seminano i prati, ho scavato sui pendii meno battuti, presso alle cime dei monti parecchie di queste laghe, come me le nominava il pastore romito, o il vecchio dei luoghi.

Talora trenta metri di corda non sono bastati per scendere al fondo (quando pur c'era), ma quantunque il desiderio che avevo di entrare per esse in qualche via sotterranea estesa e meravigliosa (3) non sia stato soddisfatto, pure non sono pentito di aver girato tanto per trovare quelle laghe chiuse quasi tutte a me tourista, ma che non devono rimaner tali al geologo.

Scientificamente cosa sono? Forse le marmitte dei giganti, di cui lo Stoppani ha cercato invano la denominazione italiana, che dovrebbero trovarsi a centinaia anche da noi, mentre se ne conoscono, com'egli dice, pochissime?
Dirò di queste laghe singolarmente.
Sopra il paese di Redona, sul sommo del monte, si apre un pozzo cilindrico regolare, molto largo, più di una dozzina di metri. Con una fune di trenta metri sono sceso là dentro e giunto su un pendio di mobili ciottoli, in fondo al quale stava un macigno enorme; là, ritirando le pietre, discesi ancora per una diecina di metri, fino a che venne la sera e stanco ritornai.
Sul monte di Grone ce ne sono due, una, a pochi passi dalla cascina del Belòmm, ha l'orificio in un dirupo quasi a picco e però, di poi, la vidi anche a grande distanza, scende con ripidità vertiginosa e ampiezza imponente; una corrente d'aria fredda investe venendo da basso; causa l'insufficienza di tutte le mie corde e di tutte le mie scale, non ho potuto raggiungere il fondo che ho appena intravvisto. Una, a pochi passi dalla cascina dei Droi, si apre in un declivio cosparso di bellissime pietre scannellate e levigate; è di sezione ovale, le pareti scendono verticali per una quindicina di metri, ma dopo un colossale ammasso calcareo sbarra la via.
I pastori del monte di Grone mi hanno narrato che nei vicini prati Sedine, a San Roc, una laga comunica con una grande caverna, ma mi è mancato il tempo di andarla a vedere.
Dopo due giorni di ricerche, ho trovato una laga interessantissima, a metà del monte Faet (m. 1378); essa scende nel masso vivo, prima verticalmente, poi con forte pendenza; dove termina la discesa verticale sta in bilico un macigno; lanciai giù delle torcie e potei intravvedere quel tubo, che misura cinque o sei metri di diametro, gettai anche alcuni sassi: rotolavano, rimbalzavano e rotolavano ancora, finchè il rombo si spegneva lontano e più non l'udivo. Quale profondità, quanto mistero!
Ma purtroppo queste vie vanno disparendo dal mondo, si chiudono per sempre a noi nelle viscere della terra, e le leggende (che nascono dal vero) ci fanno rimpiangere inutilmente queste morte laghe: su quel fianco che il monte Sega espone al levar del sole, alcune laghe sono ridotte a burroni pieni d'erbe e di spine, e si vedono misere rovine non di templi romani, ma di antri sfondati, di colonne e stalattiti spezzate, di archi che i tempi avevano adorni, vie otturate, sepolte dalle acque e dalle frane, dove ai colpi del piede trema il suolo e il vuoto rimbomba. Fra tanta rovina una laga èancora intatta nei pressi del bosco annoso di castani, quell'unica di cui sapevo, come ho detto al principio. Mi avevano detto che fumo di torcia usciva da esse, quando mi recavo alla Buca del Corno, e perciò avevo creduto che, girando nella caverna, avrei finito per riuscire in quella laga. Ciò non essendo stato, un giorno discesi in questa.
Al fondo era meno larga, e uno specchio d'acqua rifletteva il cielo chiaro e i rami dei noccioli sporgenti dall'orlo: oltre esso era l'ingresso di un grande antro.
Nel varcare l'acqua, Rissulot cadde, si bagnò tutto, e spense quell'unica voce laggiù di quanto palpita sulla terra. Inoltratomi alquanto credetti, come già mi era capitato tante volte, che ogni via fosse chiusa, che tutto si riducesse ad una grotta, a una grande grotta adorna di stalattiti bellissime; ma in fondo dove queste più si ammassano scoprimmo una via nascosta. Dopo un tratto Rissulot, che mi precedeva in essa carponi, si arrestò.
- Che c'è?
- Non si può più andare avanti.
- Come? Perché?
Senza udirlo, strisciai con precauzione davanti a lui che mi predicava non so che, e mi aveva afferrato per un braccio. Che rabbia! La galleria era interrotta nel vuoto. Gettai una torcia; ma, non essendo stata bene accesa, si spense, ed ebbi appena agio di vedere che di contro a me c'era un dirupo, dove la nostra via continuava. Ne accesi un'altra, e la lanciai legata ad un filo di ferro; a destra, a sinistra scendevano a picco alti massi, un laghetto immoto e scuro si appoggiava ad essi giù in basso, molto in basso, dinanzi tenebre sconfinate e mute.
- È la Buca del Corno - disse un contadino.
- Può darsi, ma questo sito io non lo ricordo, non l'ho visto.
- Oh! è la Buca del Corno - ripeteva quello soddisfatto; ma non lo ero io,
e però rivoltomi al Rissulot, dissi:
-Io torno alla Buca, tu aspetta qui con delle torcie accese, e, quando giudicherai che io sia dentro a metà, grida forte.
Così fu fatto; ero giunto al termine della galleria cominciata dallo Stoppani, quando udii voci che parevano venire da tutte le parti da quei cieli di tenebre: corsi, e, al tempo stesso che entravo nell'antro simile al Campanile, scorgevo lontano, sopra le altissime colonne in rilievo, la nebbia di una torcia. Là attendeva Rissulot, che mi parve il Genio della caverna. Un evviva ci eruppe dal cuore e corse quei recessi meravigliosi.
Quella era la fine, anzi l'origine della caverna.

(1) Prealpi bergamasche . - AL LETTORE - Giugno 1877
(2) Nella massa di granito, che regge l'arco di questa entrata, sale una galleria , ma è ostruita da terra, dove furono trovati utensili e ossa dell'uomo preistorico.
(3) Giacché credo che quelle laghe siano la prima pietra di ogni caverna.

Si noti che il transito sul ramo"fossile" era disagevole e pericoloso in quanto in quel tratto la grotta mancava del pavimento che lo separa dal ramo attivo sottostante.







Il pavimento della grotta era reso irregolare e spigoloso dal rilievo degli strati rocciosi che ora sono coperti da un acciottolato

Questa fotografia è stata scattata dal fondo della dolina il cui inghiottitoio immette nel ramo attivo della grotta

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